venerdì 5 luglio 2024

B - 14 DOMENICA T.O.


 

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Antifona

O Dio, accogliamo il tuo amore nel tuo tempio.
Come il tuo nome, o Dio,
così la tua lode si estende sino ai confini della terra;
è piena di giustizia la tua destra. (Cf. Sal 47,10-11)

Gloria.

O Padre, fonte della luce,
vinci l’incredulità dei nostri cuori,
perché riconosciamo la tua gloria
nell’umiliazione del tuo Figlio,
e nella nostra debolezza
sperimentiamo la potenza della sua risurrezione.
Egli è Dio, e vive e regna con te.

Prima Lettura
Sono una genìa di ribelli, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro.

Dal libro del profeta Ezechièle
Ez 2,2-5

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 122 (123)

R. I nostri occhi sono rivolti al Signore.

A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni. R.

Come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi. R.

Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi. R.

Seconda Lettura
Mi vanterò delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
2 Cor 12,7-10

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.
A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

Lo Spirito del Signore è sopra di me:
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. (Cf. Lc 4,18)

Alleluia.

Vangelo
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,1-6

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.

Parola del Signore.



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PAPA FRANCESCO ANGELUS

4 luglio 2021


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo che leggiamo nella liturgia di questa domenica (Mc 6,1-6) ci racconta l’incredulità dei compaesani di Gesù. Egli, dopo aver predicato in altri villaggi della Galilea, ripassa da Nazaret, dove era cresciuto con Maria e Giuseppe; e, un sabato, si mette a insegnare nella sinagoga. Molti, ascoltandolo, si domandano: “Da dove gli viene tutta questa sapienza? Ma non è il figlio del falegname e di Maria, cioè dei nostri vicini di casa che conosciamo bene?” (cfr vv. 1-3). Davanti a questa reazione, Gesù afferma una verità che è entrata a far parte anche della sapienza popolare: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (v. 4). Lo diciamo tante volte.

Soffermiamoci sull’atteggiamento dei compaesani di Gesù. Potremmo dire che essi conoscono Gesù, ma non lo riconoscono. C’è differenza tra conoscere e riconoscere. In effetti, questa differenza ci fa capire che possiamo conoscere varie cose di una persona, farci un’idea, affidarci a quello che ne dicono gli altri, magari ogni tanto incontrarla nel quartiere, ma tutto questo non basta. Si tratta di un conoscere direi ordinario, superficiale, che non riconosce l’unicità di quella persona. È un rischio che corriamo tutti: pensiamo di sapere tanto di una persona, e il peggio è che la etichettiamo e la rinchiudiamo nei nostri pregiudizi. Allo stesso modo, i compaesani di Gesù lo conoscono da trent’anni e pensano di sapere tutto! “Ma questo non è il ragazzo che abbiamo visto crescere, il figlio del falegname e di Maria? Ma da dove gli vengono, queste cose?”. La sfiducia. In realtà, non si sono mai accorti di chi è veramente Gesù. Si fermano all’esteriorità e rifiutano la novità di Gesù.

E qui entriamo proprio nel nocciolo del problema: quando facciamo prevalere la comodità dell’abitudine e la dittatura dei pregiudizi, è difficile aprirsi alla novità e lasciarsi stupire. Noi controlliamo, con l’abitudine, con i pregiudizi. Finisce che spesso dalla vita, dalle esperienze e perfino dalle persone cerchiamo solo conferme alle nostre idee e ai nostri schemi, per non dover mai fare la fatica di cambiare. E questo può succedere anche con Dio, proprio a noi credenti, a noi che pensiamo di conoscere Gesù, di sapere già tanto di Lui e che ci basti ripetere le cose di sempre. E questo non basta, con Dio. Ma senza apertura alla novità e soprattutto – ascoltate bene – apertura alle sorprese di Dio, senza stupore, la fede diventa una litania stanca che lentamente si spegne e diventa un’abitudine, un’abitudine sociale. Ho detto una parola: lo stupore. Cos’è, lo stupore? Lo stupore è proprio quando succede l’incontro con Dio: “Ho incontrato il Signore”. Leggiamo il Vangelo: tante volte, la gente che incontra Gesù e lo riconosce, sente lo stupore. E noi, con l’incontro con Dio, dobbiamo andare su questa via: sentire lo stupore. È come il certificato di garanzia che quell’incontro è vero, non è abitudinario.

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--->Alla fine, perché i compaesani di Gesù non lo riconoscono e non credono in Lui? Perché? Qual è il motivo? Possiamo dire, in poche parole, che non accettano lo scandalo dell’Incarnazione. Non lo conoscono, questo mistero dell’Incarnazione, ma non accettano il mistero. Non lo sanno, ma il motivo è inconsapevole e sentono che è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo. Ecco lo scandalo: l’incarnazione di Dio, la sua concretezza, la sua “quotidianità”. E Dio si è fatto concreto in un uomo, Gesù di Nazaret, si è fatto compagno di strada, si è fatto uno di noi. “Tu sei uno di noi”: dirlo a Gesù, è una bella preghiera! E perché è uno di noi ci capisce, ci accompagna, ci perdona, ci ama tanto. In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali”, che fa solo cose eccezionali e dà sempre grandi emozioni. Invece, cari fratelli e sorelle, Dio si è incarnato: Dio è umile, Dio è tenero, Dio è nascosto, si fa vicino a noi abitando la normalità della nostra vita quotidiana. E allora, succede a noi come ai compaesani di Gesù, rischiamo che, quando passa, non lo riconosciamo. Torno a dire quella bella frase di Sant’Agostino: “Ho paura di Dio, del Signore, quando passa”. Ma, Agostino, perché hai paura? “Ho paura di non riconoscerlo. Ho paura del Signore quando passa. Timeo Dominum transeuntem”. Non lo riconosciamo, ci scandalizziamo di Lui. Pensiamo a com’è il nostro cuore rispetto a questa realtà.

Ora, nella preghiera, chiediamo alla Madonna, che ha accolto il mistero di Dio nella quotidianità di Nazaret, di avere occhi e cuore liberi dai pregiudizi e avere occhi aperti allo stupore: “Signore, che ti incontri!”. E quando incontriamo il Signore c’è questo stupore. Lo incontriamo nella normalità: occhi aperti alle sorprese di Dio, alla Sua presenza umile e nascosta nella vita di ogni giorno.

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S. FAUSTI - “E si meravigliava della loro non fede” I suoi si meravigliano di Gesù, e si scandalizzano che la Sapienza e l'Azione di Dio sia in “questo” uomo che ben conoscono.
Anche Lui, a Sua volta, si stupisce : venuto tra i Suoi , non è accolto!
Con Gesù ci troviamo davanti allo scandalo di un Dio fatto Carne, che sottostà alla legge della fatica umana e del bisogno, del lavoro e del cibo, della veglia e del sonno, della vita e della morte.
Lo vorremmo diverso.
Ci piace condividere le prerogative che sono Sue : meno gradiamo che Lui condivida le nostre, delle quali volentieri faremmo a meno.
Ma la “Sua Carne “ è il centro della fede cristiana . Riconoscerla o meno equivale a essere o meno da Dio (1 Gv 4,2).
Nella Sua umanità, in ciò che fa e dice, in ciò che gli facciamo e subisce – nella Sua storia concreta, frutto maturo del cammino d'Israele – Dio si rivela e si dona definitivamente.
In essa tocca ogni uomo e da essa fa scaturire la Sua Sapienza e la Sua Forza salvifica.
Come una vena profonda di acqua perenne zampilla dalla sorgente, così Dio esce da sé e si comunica a tutti attraverso l'Uomo Gesù di Nazaret.
Noi diciamo . “Se lo vedessi, se Lo toccassi, gli crederei!” nulla di più falso! I suoi l'hanno rifiutato proprio perchè L'hanno visto e toccato – anzi, schiacciato.
Noi abbiamo sempre la possibilità di inventarcene uno a misura delle nostre fantasie.
La fede non è accertare che Gesù è Dio – il Dio che pensiamo noi!”- ma accettare che Dio, il Dio che noi non pensavamo , è questo uomo Gesù.
Quel Dio che nessuno ha mai visto, Lui ce Lo ha rivelato (Gv 1, 18).
Lo scandalo della fede, uguale per tutti, è costituito dal fatto che la Sapienza e la Potenza di Dio parli e operi nella follia e nell'impotenza di un amore fatto carne, che sposa tutti i nostri limiti, fino alla debolezza estrema della croce. Infatti “fu crocifisso per la Sua debolezza” (2Cor 13,4).
I prodigi di Dio , come possono essere operati dalle sue mani di lavoratore, che certamente, di sabato, sono stanche come le nostre? E' lo scandalo della fede cristiana : nell'uomo Gesù, in tutto simile a noi, abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità (Col 2,9).
“Non c'è profeta disprezzato se non nella sua patria” Questa è la constatazione amara del rifiuto d'Israele, dietro cui si profila quello dell'umanità.
La fede è accettare proprio Lui come Mio Dio e Mio Signore. Essa è un contatto che sprigiona da Lui l'energia. Lui è la Vita. Chi ha mani aperte riceve il dono senz'altra misura che il suo bisogno.
L'incredulità è la mano chiusa di chi, come i suoi, avanza diritti e pretese.
Il Signore, come si meraviglia della nostra non-fede, si meraviglia anche della nostra fede (Mt 8,10). L'uso che noi facciamo della nostra libertà, è per Lui qualcosa di nuovo, fonte di stupore.
La nostra fede o non-fede è l'unica cosa che può meravigliare Dio, perchè dipende da noi.
Si meraviglia quando c'è e dice: “ Che bello, non me l'aspettavo!” ; si meraviglia quando manca e dice . “Che cosa posso fare di più?”.


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D. FONTANA - Gesù arriva a Nazareth, il paese dove è stato allevato. Lo precede la fama di predicatore itinerante ricercato dalle folle e di operatore di prodigi. Di sabato partecipa al culto nella sinagoga e qui “si mise a insegnare”.
L’effetto sull’uditorio: “Molti rimanevano stupiti”.
L’episodio si apre e poi si chiuderà all’insegna dello stupore.
Di solito nei Vangeli lo “stupore” è il sentimento che provano quanti hanno assistito a un miracolo compiuto da Gesù e sfocia, quasi sempre, nella lode di Dio.
Qui a Nazareth lo stupore parte bene. Di fronte alla sapienza del loro compaesano,
che non aveva frequentato le scuole dei rabbini, si interrogano: “Che sapienza è quella che gli è stata data?”.
“Data” da Dio, si intende. La loro domanda sembra, quindi, imboccare la direzione giusta. Ma, una volta sfiorata la verità, non proseguono verso di essa: “Non è costui il falegname?”.
Abbiamo qui la domanda fondamentale, che attraversa tutto il vangelo di Marco.
L’intento dell’evangelista è, appunto, portarci a trovare la risposta vera all’interrogativo che riguarda la persona di Gesù: Chi è Gesù? Chi entra in qualche modo in contatto con Lui sente affiorare immancabilmente la domanda sulla sua identità.
Spesso però il problema non è tenuto aperto in un atteggiamento di ricerca e di riflessione seria.
Le ragioni: superficialità, paura di convertirsi? In ogni modo prevale la fretta di dare una risposta. E ciò avviene nella direzione sbagliata: conoscono le sue origini umili, lo hanno visto crescere. Sanno tutto di Lui: è il “falegname”, che ha ereditato il mestiere dal padre Giuseppe. E’ un bravo operaio, come altri del villaggio. Conoscono sua madre: “Non è il figlio di Maria?”. E’ l’unica volta in cui nel Vangelo di Marco ricorre il nome della madre di Gesù. Giuseppe non viene nominato: forse è già morto. Conoscono i suoi cugini. Insomma la sua è una famiglia insignificante. E così lo stupore,
invece che diventare fede entusiasta, si tramuta in scetticismo incredulo: “Era per loro motivo di scandalo”. La radice di tale incredulità è proprio l’incapacità di riconoscere la presenza e l’azione di Dio in ciò che è umile e quotidiano. Lo “scandalo”, cioè l’ostacolo a credere, deriva dal fatto che Gesù non rispondeva alla loro immagine di Dio: un Dio che, se si manifesta, deve farlo in modo evidente e
spettacolare.
“E lì non vi poteva compiere nessun prodigio”. Gesù ha come le mani legate.
L’incredulità lo blocca.

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--->I miracoli non sono gesti straordinari destinati a impressionare la gente e a forzare l’adesione nei confronti di Gesù. Non “producono” la fede.
Il miracolo è sempre una risposta alla fede. Si può “leggere” soltanto alla luce della fede ed è un appello alla fede: un appello rivolto al cuore.
Ecco perché Gesù non opera nessun prodigio, ma guarisce solo pochi malati, nella misura della loro fede.
“E si meravigliava della loro incredulità”. Gesù prova un disagio e rincrescimento profondo, rimane “spiazzato”. Lo delude e lo amareggia la falsa religiosità di quanti pretendono che Dio si manifesti soltanto nella potenza e nel trionfo, mentre non accettano che intervenga nella povertà e nella semplicità. Invece con l’Incarnazione Dio penetra nell’umanità fino al limite estremo, attraverso un “falegname”, un uomo che soffre e muore di una morte ignominiosa.
Che grazia quel giorno per gli abitanti di Nazareth, quando nella loro sinagoga hanno ricevuto la visita di Gesù e hanno ascoltato la sua parola! Che occasione! Una grazia, un’occasione che si ripete per noi, soprattutto quando ci troviamo riuniti per la celebrazione eucaristica e Gesù è in mezzo a noi.
Ma essi non l’hanno preso sul serio: lo stupore, invece che diventare gratitudine e lode, diventa incredulità.
Anche nelle nostre parrocchie, come nella vita delle persone, Gesù avrebbe un grande desiderio di fare miracoli, di trasformarci. Ma non può, perché non prendiamo sul serio la sua parola, i suoi Sacramenti; non prendiamo sul serio il dono che ogni domenica ci prepara. Ecco perché la vita rimane spesso appiattita e non “esplode”.
Ai nazaretani non è bastata la conoscenza di Gesù, la vicinanza fisica e la familiarità con Lui per riconoscere il suo mistero. Anche noi potremmo lasciarci giocare dalla falsa presunzione di avere familiarità con Gesù, di sapere tutto di Lui, ma incapaci di superare i nostri schemi per essere attenti a cogliere le sorprese di Dio.
E’ inquietante l’affermazione: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Gesù cita una frase proverbiale, ma si riferisce alla sua sorte. Anche oggi può accadere pure a noi di non saper riconoscere la presenza e l’appello di Dio attraverso persone che ci
vivono accanto. E così ci sfugge l’occasione che Dio ci offre per convertirci al Vangelo.
D. G. Fontana

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https://youtu.be/TerbDxVQq-U?si=cPlrSz6Kgam2-0_4

B - 27 DOMENICA T.O.