venerdì 27 aprile 2018

B - 5 DOM. PASQUA


11 commenti:

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-->Se dimoriamo in Gesù e le Sue parole dimorano in noi, siamo in sintonia con Lui e vogliamo ciò che Lui vuole.
Per questo avviene ciò che vogliamo. E' però importante chiedere ciò che vogliamo : un dono può essere fatto solo a chi lo desidera.
Tuttavia non può essere preteso : va desiderato per aprire il cuore ad accoglierlo. 
Il Padre ci vuol donare ciò che ha dato al Figlio : tutto! Siamo chiamati a dimorare nell'Amore Suo per noi , 
che è lo stesso che il Padre ha per Lui..
Questa è la nostra vera casa, dove possiamo vivere e ritrovare la nostra identità di figli e di fratelli.
L'unico amore tra Padre e Figlio, circola anche in noi e ci fa dimorare nel Figlio come il Figlio nel Padre.

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PRIMA LETTURA
Barnaba raccontò agli apostoli come durante il viaggio Paolo aveva visto il Signore.
Dagli Atti degli Apostoli 9,26-31
In quei giorni Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.
Parola di Dio.

SALMO RESPONSORIALE (Dal Salmo 21)
R. A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea.
Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre! R.
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli. R.
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere. R.
Ma io vivrò per lui.
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l'opera del Signore!». R.

SECONDA LETTURA
Questo è il suo comandamento: che crediamo e amiamo.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 1Gv 3,18-24
Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Parola di Dio.

CANTO AL VANGELO (Gv 15,4.5)
R. Alleluia, alleluia.
Rimanete in me ed io in voi, dice il Signore;
chi rimane in me porta molto frutto.
R. Alleluia.

VANGELO
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni 15,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli".
Parola del Signore.

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Diac. Giarlotto Ing Lodovico Vangelo. “Io sono la vera vite” (v.1) è l’affermazione solenne con cui Gesù esordisce nel Vangelo di oggi. La vigna del Signore, cantata dai profeti, era Israele. Simbolo di Israele-vigna del Signore era, nel Tempio di Gerusalemme, la vite d’oro che ricopriva le pareti del vestibolo e che andava sempre più estendendosi grazie ai tralci, ai grappoli e ai pampini d’oro offerti dai pellegrini. La vigna-Israele cominciò a produrre uva acida (Is 5,1-4). Il Signore se ne dolse: “Io ti avevo piantato come vigna eccellente, come mai ti sei trasformata in vigna bastarda?” (Ger 2,21) e prese una decisione dolorosa ma necessaria: “Toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto …” (Is 5,5-7). Non la ripudiò, nonostante le infedeltà, perché “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”. Dal ceppo sterile di questa vite fece germogliare, nel giorno di Pasqua, un virgulto nuovo: Cristo, la vite vera.
Gesù è la vite e i discepoli, che ne costituiscono i tralci, sono parte di lui ed è da loro che Gesù si aspetta frutti quali: la giustizia, la rettitudine, l’amore. Per questo si comporta da vignaiolo: li pota e li taglia. Potare e tagliare sono immagini delle premure di Dio nei confronti di ogni uomo. I rami secchi rappresentano le miserie, le infedeltà al Vangelo, le debolezze, i piccoli e grossi peccati presenti in ciascun discepolo. “Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunciato” (v.3) è l’indicazione dello strumento di cui il Padre si serve per potare. Il confronto con la persona di Gesù e con la sua parola costituisce una continua, necessaria, potatura. Quest’opera risanatrice, essendo svolta dal Padre, è sempre motivo di gioia.
Il cristiano non produce opere d’amore per se stesso, per autocompiacersi della propria perfezione morale e nemmeno per ottenere un premio da Dio. Egli è come il Padre che sta nei cieli: ama senza aspettarsi nulla in cambio. La sua ricompensa è la gioia di vedere qualcuno felice, è verificare che l’amore di Dio si è manifestato attraverso lui. Nulla di più,ma anche nulla di meno: questa è, infatti, la gioia stessa di Dio e, quando avrà raggiunto in tutti la sua pienezza, sarà il regno di Dio.

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BENEDETTO XVI – Gesù di Nazaret – La parabola della Vite nei discorsi di Addio di Gesù porta avanti l'intera storia del pensiero e del discorso biblico sulla vite e apre un'ultima profondità.
”Io Sono la Vera Vite” dice il Signore (Gv 15,1). E' importante innanzitutto l'aggettivo “ vera”.
Ma l'elemento essenziale e di massimo rilievo in questa frase è l'”Io Sono” ; il Figlio stesso si identifica con la Vite, è diventato Egli Stesso Vite.
Si è lasciato piantare nella terra. E' entrato nella vite : il mistero dell'Incarnazione, di cui Giovanni ha parlato nel prologo, viene ripreso in modo sorprendente. Ora la vite non è più una creatura che Dio guarda con amore, ma che può anche sradicare e rigettare.
Nel Figlio è diventato Egli stesso Vite, si è identificato per sempre e ontologicamente con la vite.
Questa Vite non può mai più essere sradicata, non può mai più essere abbandonata al saccheggio: è definitivamente di Dio, attraverso il Figlio Stesso che vive in essa.
La promessa è irrevocabile, l'unità è divenuta indistruttibile.Questo è il nuovo grande passo storico di Dio che costituisce il significato più profondo della parabola : Incarnazione, Morte e Resurrezione si rivelano in tutta la loro portata.
Il “Figlio di Dio” Gesù Cristo … non fu “si” e “no”, ma in Lui c'è stato il Sì.
E in realtà tutte le promesse di Dio in Lui son divenute Sì (2Cor 1,19) è così che lo esprime S. Paolo.
Il Salmo 80,18 aveva legato strettamente il “Figlio dell'uomo” con la vite. Ma se il Figlio è ora diventato Egli stesso la Vite, ne consegue reciprocamente che Egli proprio in questo modo resta una cosa sola con i suoi, con tutti i figli di Dio dispersi che è venuto a raccogliere (Gv 11, 52).
La vite come attributo cristologico contiene in sé anche un'intera Ecclesiologia.
Indica l'unione inscindibile di Gesù con i suoi che , con Lui e per mezzo di Lui, son tutti “vite” e la cui vocazione è rimanere nella Vite. La parabola esprime l'inseparabilità di Gesù dai suoi, il loro essere una cosa sola con Lui e in Lui. Il discorso della Vite dimostra così l'irrevocabilità del dono fatto da Dio, che non verrà tolto.
La vite non può più essere sradicata, non può più essere abbandonata al saccheggio. Abbisogna però, continuamente, della purificazione.
Purificazione, frutto, rimanere, comandamento, amore, unità – sono queste le grandi parole – chiave
di questo dramma dell'essere nella Vite in e con il Figlio, un dramma che il Signore pone dinanzi alla nostra anima con le Sue Parole .
Purificazione - sempre di nuovo la Chiesa, il singolo, necessitano della purificazione: i processi di purificazione, tanto dolorosi quanto necessari, pervadono l'intera storia, pervadono la vita degli uomini che si sono donati a Cristo.
In queste purificazioni è sempre presente il mistero di morte e resurrezione.
L'autoesaltazione dell'uomo come anche delle istituzioni va tagliata via, ciò che è diventato troppo grande va ricondotto alla semplicità e alla povertà del Signore Stesso.

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PAROLE DEL SANTO PADRE
“La vita cristiana è rimanere in me”. Rimanere. E usa qui l’immagine della vite, come i tralci rimangono nella vite. E questo rimanere non è un rimanere passivo, un addormentarsi nel Signore: questo sarebbe forse un “sonno beatifico”, ma non è questo. Questo rimanere è un rimanere attivo, e anche è un rimanere reciproco (…) E’ vero, i tralci senza la vite non possono fare nulla perché non arriva la linfa, hanno bisogno della linfa per crescere e per dar frutto; ma anche l’albero, la vite ha bisogno dei tralci, perché i frutti non vengono attaccati all’albero, alla vite. È un bisogno reciproco, è un rimanere reciproco per dar frutto. (Papa Francesco, Omelia di Santa Marta 13 maggio 2020)

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BENEDETTO XVI – Gesù di Nazaret – La parabola della Vite nei discorsi di Addio di Gesù porta avanti l'intera storia del pensiero e del discorso biblico sulla vite e apre un'ultima profondità.
”Io Sono la Vera Vite” dice il Signore (Gv 15,1). E' importante innanzitutto l'aggettivo “ vera”.
Ma l'elemento essenziale e di massimo rilievo in questa frase è l'”Io Sono” ; il Figlio stesso si identifica con la Vite, è diventato Egli Stesso Vite.
Si è lasciato piantare nella terra. E' entrato nella vite : il mistero dell'Incarnazione, di cui Giovanni ha parlato nel prologo, viene ripreso in modo sorprendente. Ora la vite non è più una creatura che Dio guarda con amore, ma che può anche sradicare e rigettare.
Nel Figlio è diventato Egli stesso Vite, si è identificato per sempre e ontologicamente con la vite.
Questa Vite non può mai più essere sradicata, non può mai più essere abbandonata al saccheggio: è definitivamente di Dio, attraverso il Figlio Stesso che vive in essa.
La promessa è irrevocabile, l'unità è divenuta indistruttibile.Questo è il nuovo grande passo storico di Dio che costituisce il significato più profondo della parabola : Incarnazione, Morte e Resurrezione si rivelano in tutta la loro portata.
Il “Figlio di Dio” Gesù Cristo … non fu “si” e “no”, ma in Lui c'è stato il Sì.
E in realtà tutte le promesse di Dio in Lui son divenute Sì (2Cor 1,19) è così che lo esprime S. Paolo.
Il Salmo 80,18 aveva legato strettamente il “Figlio dell'uomo” con la vite. Ma se il Figlio è ora diventato Egli stesso la Vite, ne consegue reciprocamente che Egli proprio in questo modo resta una cosa sola con i suoi, con tutti i figli di Dio dispersi che è venuto a raccogliere (Gv 11, 52).
La vite come attributo cristologico contiene in sé anche un'intera Ecclesiologia.
Indica l'unione inscindibile di Gesù con i suoi che , con Lui e per mezzo di Lui, son tutti “vite” e la cui vocazione è rimanere nella Vite. La parabola esprime l'inseparabilità di Gesù dai suoi, il loro essere una cosa sola con Lui e in Lui. Il discorso della Vite dimostra così l'irrevocabilità del dono fatto da Dio, che non verrà tolto.
La vite non può più essere sradicata, non può più essere abbandonata al saccheggio. Abbisogna però, continuamente, della purificazione.
Purificazione, frutto, rimanere, comandamento, amore, unità – sono queste le grandi parole – chiave
di questo dramma dell'essere nella Vite in e con il Figlio, un dramma che il Signore pone dinanzi alla nostra anima con le Sue Parole .
Purificazione - sempre di nuovo la Chiesa, il singolo, necessitano della purificazione: i processi di purificazione, tanto dolorosi quanto necessari, pervadono l'intera storia, pervadono la vita degli uomini che si sono donati a Cristo.
In queste purificazioni è sempre presente il mistero di morte e resurrezione.
L'autoesaltazione dell'uomo come anche delle istituzioni va tagliata via, ciò che è diventato troppo grande va ricondotto alla semplicità e alla povertà del Signore Stesso.

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-->Solo attraverso tali processi di morte la fertilità persiste e si rinnova.
La purificazione mira al frutto, ci dice il Signore. Qual è il frutto che egli attende? Guardiamo innanzitutto il frutto che Egli stesso ha portato col Suo morire e col Suo risorgere.
Ricordiamoci che la parabola della vite sta nel contesto dell'Ultima Cena di Gesù.
Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù aveva parlato del vero Pane del cielo che Egli avrebbe donato, dando così una profonda interpretazione anticipata del Pane Eucaristico.
E' difficile immaginare che , nel discorso della Vite, Egli non alluda tacitamente al Nuovo Vino, cui aveva già fatto riferimento a Cana e di cui ora ci fa dono – il Vino derivato dalla Sua Passione, dal Suo Amore “sino alla fine” (Gv 13,1).
Da questo punto di vista, la parabola della Vite ha senz'atro uno sfondo Eucaristico.
Rimanda al frutto portato da Gesù : il Suo Amore che si dona sulla Croce , che è il Nuovo Vino pregiato destinato al banchetto nuziale di Dio con gli uomini.
L'Eucaristia diviene così comprensibile in tutta la sua profondità e grandezza.
Ci rimanda al frutto che noi, in quanto tralci, possiamo e dobbiamo portare con Cristo e in virtù di Cristo : il frutto che il Signore si aspetta da noi è l'amore – che , con Lui, accetta il mistero della croce e diventa partecipe alla Sua autodonazione – e così la vera giustizia che prepara il mondo in vista del regno di Dio. Il frutto e l'amore vanno insieme .
Il vero frutto è l'amore che ha attraversato la croce e le purificazioni di Dio.
Se il frutto che dobbiamo portare è l 'amore, il suo presupposto è proprio questo “rimanere” che profondamente ha a che fare con quella fede che non lascia il Signore. Si parla al v. 7 della preghiera come momento essenziale di questo “rimanere”: all'orante è promesso il sicuro esaudimento.
Pregare nel Nome di Gesù , però, non significa chiedere una cosa qualsiasi, bensì chiedere il dono essenziale che Gesù , nei discorsi di addio, qualifica “la gioia”, mentre Luca lo chiama Spirito Santo, il che, in fondo , è la stessa cosa.
Le Parole sul rimanere nell'amore rimandano già all'ultimo versetto della Preghiera Sacerdotale di Gesù (Gv 17 : Ho fatto conosce loro il Tuo Nome e Lo farò conoscere, perché l'Amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro) , legando così il discorso della Vite al grande tema dell'unità, che il Signore presenta come supplica al Padre.

da : Gesù di Nazareth - Benedetto XVI - ( spunti di riflessione)

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S. FAUSTI -”IO SONO la vite”, quella vera, come aveva detto di essere il pane, quello vero.
Lui è la vera vite, a differenza di altre che non danno frutto, come è il vero pane, diverso da altri cibi che non saziano, la vera luce, diversa da altri bagliori che non illuminano.
La vigna è simbolo del popolo dell'Alleanza.
Qui si sostituisce alla vigna la vite, si passa dal collettivo al singolo che rappresenta tutti.
Questo passaggio dal molteplice all'Uno è fondamentale : in Lui, il Figlio, tutti diventiamo figli , vero popolo di Dio , che porta il frutto dell 'Alleanza.
In Gesù, Figlio dell'uomo e Figlio di Dio, finalmente l'Alleanza eterna di Dio trova risposta nell'uomo.
Il Padre è paragonato all'agricoltore o, meglio, al viticoltore, laborioso ed esperto, amoroso e paziente, che coltiva la Sua vigna. L'unione tra il Figlio e ogni uomo è come quella tra la vite e il tralcio .
Hanno un'unica vita e producono l'identico frutto .
In Lui, Vera Vite, ritorniamo a Dio e alla Sua Alleanza.
L'essere o dimorare “in” Lui è condizione per vivere ed essere fecondi. Gesù ha parlato di messe abbondante e di grano che porta molto frutto (12,24). Non portare frutto è essere fuori dal comando e dalla benedizione fondamentale del Creatore che vuole le creature partecipi della Sua fecondità.
Il frutto di cui si parla sarà chiaro solo alla fine.
Purtroppo possiamo essere discepoli di Gesù solo a parole, senza vivere la Sua Parola.
E' un severo ammonimento perchè non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Se però non viviamo di Lui e non amiamo i fratelli, siamo rami morti, siamo non figli, che si autoescludono dal Figlio e dal Padre, recisi dalla fonte della vita. Questo è il dramma dell'uomo , ma anche di Dio che troverà la Sua soluzione sulla Croce, dove il legno verde porta in sé la maledizione del legno secco. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito” (3,16). Nell'Alleanza, sia Antica che Nuova, Dio è sempre fedele.
Ciò che manca è la nostra risposta, lasciata alla nostra libertà.
La Parola mette a nudo la nostra verità, è un costante esorcismo che ci libera dalla menzogna.
La Parola del Signore è Spirito e Vita (6,63) : ci comunica lo Spirito, la Vita del Figlio.
Il Battesimo di Cristo è innanzi tutto un'immersione nella Parola , che ce lo fa conoscere e amare.
“Rimanete in me” : è un imperativo : il Signore ci supplica di essere tralci uniti alla vite.
Dimoriamo in Lui dimorando nel Suo Amore per noi , sorgente del nostro amore reciproco.
Amare Gesù e fare la Sua Volontà è un atto di libertà nostra, che nessuno, neppure Dio, può fare al nostro posto.
Noi siamo sempre in Lui perchè ci ama
L'unione con Lui, non solo affettiva ma anche effettiva, è la possibilità stessa di una vita feconda.
Corrisponde all'entusiastico “essere in Cristo” di Paolo, ritornello di tutte le sue lettere.
La nostra azione scaturusce da ciò che siamo : uniti al Figlio siamo figli e possiamo portare frutti di amore fraterno.
Soprattutto nell'azione apostolica , la nostra unione con il Signore è determinante.
Se non Lo si conosce , si sbaglia nel fare il bene, se non Lo si ama, manca la forza di farlo.
Qui Giovanni sta parlando della nostra “Vita nello Spirito”,
indispensabile per glorificare e testimoniare al mondo l'Amore del Padre e del Figlio.
Non dimorare in Lui, vita di ciò che esiste, equivale a essere già morti. L'avvertimento è rivolto ai discepoli, affinché dimorino in Lui, nel Suo Amore, affinché Lui dimori in loro. Diversamente ogni loro attività è paglia, che sarà bruciata.

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-->Se dimoriamo in Gesù e le Sue parole dimorano in noi, siamo in sintonia con Lui e vogliamo ciò che Lui vuole.
Per questo avviene ciò che vogliamo. E' però importante chiedere ciò che vogliamo : un dono può essere fatto solo a chi lo desidera.
Tuttavia non può essere preteso : va desiderato per aprire il cuore ad accoglierlo.
Il Padre ci vuol donare ciò che ha dato al Figlio : tutto! Siamo chiamati a dimorare nell'Amore Suo per noi ,
che è lo stesso che il Padre ha per Lui..
Questa è la nostra vera casa, dove possiamo vivere e ritrovare la nostra identità di figli e di fratelli.
L'unico amore tra Padre e Figlio, circola anche in noi e ci fa dimorare nel Figlio come il Figlio nel Padre.

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Diac. Giarlotto Ing Lodovico Vangelo. “Io sono la vera vite” (v.1) è l’affermazione solenne con cui Gesù esordisce nel Vangelo di oggi. La vigna del Signore, cantata dai profeti, era Israele. Simbolo di Israele-vigna del Signore era, nel Tempio di Gerusalemme, la vite d’oro che ricopriva le pareti del vestibolo e che andava sempre più estendendosi grazie ai tralci, ai grappoli e ai pampini d’oro offerti dai pellegrini. La vigna-Israele cominciò a produrre uva acida (Is 5,1-4). Il Signore se ne dolse: “Io ti avevo piantato come vigna eccellente, come mai ti sei trasformata in vigna bastarda?” (Ger 2,21) e prese una decisione dolorosa ma necessaria: “Toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto …” (Is 5,5-7). Non la ripudiò, nonostante le infedeltà, perché “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”. Dal ceppo sterile di questa vite fece germogliare, nel giorno di Pasqua, un virgulto nuovo: Cristo, la vite vera.
Gesù è la vite e i discepoli, che ne costituiscono i tralci, sono parte di lui ed è da loro che Gesù si aspetta frutti quali: la giustizia, la rettitudine, l’amore. Per questo si comporta da vignaiolo: li pota e li taglia. Potare e tagliare sono immagini delle premure di Dio nei confronti di ogni uomo. I rami secchi rappresentano le miserie, le infedeltà al Vangelo, le debolezze, i piccoli e grossi peccati presenti in ciascun discepolo. “Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunciato” (v.3) è l’indicazione dello strumento di cui il Padre si serve per potare. Il confronto con la persona di Gesù e con la sua parola costituisce una continua, necessaria, potatura. Quest’opera risanatrice, essendo svolta dal Padre, è sempre motivo di gioia.
Il cristiano non produce opere d’amore per se stesso, per autocompiacersi della propria perfezione morale e nemmeno per ottenere un premio da Dio. Egli è come il Padre che sta nei cieli: ama senza aspettarsi nulla in cambio. La sua ricompensa è la gioia di vedere qualcuno felice, è verificare che l’amore di Dio si è manifestato attraverso lui. Nulla di più,ma anche nulla di meno: questa è, infatti, la gioia stessa di Dio e, quando avrà raggiunto in tutti la sua pienezza, sarà il regno di Dio.

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