da GESU' DI NAZARET - BENEDETTO XVI - Se il Figlio è diventato Egli stesso la vite, ne consegue reciprocamente che Egli proprio in questo modo resta una cosa sola con i suoi, con tutti i figli di Dio dispersi che è venuto a raccogliere. ( Gv 11,52). La vite come attributo cristologico contiene in sé anche un'intera ecclesiologia. Indica l'unione inscindibile di Gesù con i suoi che, con Lui e per mezzo di Lui,sono tutti “vite” e la cui vocazione è di “rimanere “ nella vite.La parabola della vite.....esprime ...l'inseparabilità di Gesù dai suoi, il loro essere una cosa sola con Lui e in Lui. Il discorso della vite dimostra così l'irrevocabilità del dono fatto da Dio, che non verrà tolto. ...Qual è il frutto che Egli attende? Guardiamo innanzitutto il frutto che Egli stesso ha portato col suo morire e col suo risorgere. Isaia e tutta la tradizione profetica avevano detto che Dio si aspettava uva e dunque vino buono dalla sua vite . Un'immagine per indicare la giustizia, la rettitudine che si forma attraverso il vivere nella parola di Dio, nella volontà di Dio. La medesima tradizione racconta che Dio trova invece uva selvatica , piccola e inutilizzabile, buona solo per essere gettata via : è l'immagine per il modo di vivere che si allontana dalla giustizia di Dio e tende verso l'ingiustizia, verso la corruzione e verso la violenza. La vite deve dare ottima uva da cui trarre, attraverso il processo della vendemmia, della pigiatura e della fermentazione, un vino pregiato. Ricordiamoci che la parabola della vite sta nel contesto dell'Ultima Cena di Gesù. Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù aveva parlato del vero pane dal cielo che Egli avrebbe donato, dando così una profonda interpretazione anticipata del Pane Eucaristico. E' difficile immaginare che , nel discorso della vie, Egli non alluda tacitamente al nuovo vino, cui aveva già fatto riferimento a Cana e di cui ora ci fa dono – il vino derivato dalla sua passione, dal suo amore “ sino alla fine”( Gv 13,1). Da questo punto di vista, la parabola della vite ha senz'altro uno sfondo eucaristico. Rimanda al frutto portato da Gesù .il suo amore che si dona sulla croce, che è il nuovo vino pregiato destinato al banchetto nuziale di Dio con gli uomini. L'Eucaristia, senza essere menzionata espressamente, diviene così comprensibile in tutta la sua profondità e grandezza. Ci rimanda al frutto che noi, in quanto tralci, possiamo e dobbiamo portare con Cristo e in virtù di Cristo : il frutto che il Signore si aspetta da noi è l'amore – che, con Lui, accetta il mistero della croce e diventa partecipazione alla sua autodonazione – e così la vera giustizia che prepara il mondo in vista del regno di Dio.
continua…Se il frutto che dobbiamo portare è l'amore , il suo presupposto è proprio questo “rimanere” che profondamente ha a che fare con quella fede che non lascia il Signore. Nel versetto 7 si parla poi della preghiera come momento essenziale di questo rimanere . All'orante è promesso il sicuro esaudimento. Pregare nel nome di Gesù, però, non significa chiedere una cosa qualsiasi, bensì chiedere il dono essenziale che Gesù, nei discorsi di addio , qualifica “la gioia”, mentre Luca lo chiama Spirito Santo ( Lc11,13), il che , in fondo, è la stessa cosa. Le parole sul rimanere nell'amore rimandano già all'ultimo versetto della preghiera sacerdotale di Gesù ( Gv 17, 26),legando così il discorso della vite anche al grande tema dell'unità, che lì il Signore presenta come supplica dinanzi al Padre.
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da GESU' DI NAZARET - BENEDETTO XVI - Se il Figlio è diventato Egli stesso la vite, ne consegue reciprocamente che Egli proprio in questo modo resta una cosa sola con i suoi, con tutti i figli di Dio dispersi che è venuto a raccogliere. ( Gv 11,52). La vite come attributo cristologico contiene in sé anche un'intera ecclesiologia. Indica l'unione inscindibile di Gesù con i suoi che, con Lui e per mezzo di Lui,sono tutti “vite” e la cui vocazione è di “rimanere “ nella vite.La parabola della vite.....esprime ...l'inseparabilità di Gesù dai suoi, il loro essere una cosa sola con Lui e in Lui. Il discorso della vite dimostra così l'irrevocabilità del dono fatto da Dio, che non verrà tolto.
...Qual è il frutto che Egli attende? Guardiamo innanzitutto il frutto che Egli stesso ha portato col suo morire e col suo risorgere. Isaia e tutta la tradizione profetica avevano detto che Dio si aspettava uva e dunque vino buono dalla sua vite . Un'immagine per indicare la giustizia, la rettitudine che si forma attraverso il vivere nella parola di Dio, nella volontà di Dio.
La medesima tradizione racconta che Dio trova invece uva selvatica , piccola e inutilizzabile, buona solo per essere gettata via : è l'immagine per il modo di vivere che si allontana dalla giustizia di Dio e tende verso l'ingiustizia, verso la corruzione e verso la violenza. La vite deve dare ottima uva da cui trarre, attraverso il processo della vendemmia, della pigiatura e della fermentazione, un vino pregiato.
Ricordiamoci che la parabola della vite sta nel contesto dell'Ultima Cena di Gesù.
Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù aveva parlato del vero pane dal cielo che Egli avrebbe donato, dando così una profonda interpretazione anticipata del Pane Eucaristico.
E' difficile immaginare che , nel discorso della vie, Egli non alluda tacitamente al nuovo vino, cui aveva già fatto riferimento a Cana e di cui ora ci fa dono – il vino derivato dalla sua passione, dal suo amore “ sino alla fine”( Gv 13,1).
Da questo punto di vista, la parabola della vite ha senz'altro uno sfondo eucaristico. Rimanda al frutto portato da Gesù .il suo amore che si dona sulla croce, che è il nuovo vino pregiato destinato al banchetto nuziale di Dio con gli uomini.
L'Eucaristia, senza essere menzionata espressamente, diviene così comprensibile in tutta la sua profondità e grandezza. Ci rimanda al frutto che noi, in quanto tralci, possiamo e dobbiamo portare con Cristo e in virtù di Cristo : il frutto che il Signore si aspetta da noi è l'amore – che, con Lui, accetta il mistero della croce e diventa partecipazione alla sua autodonazione – e così la vera giustizia che prepara il mondo in vista del regno di Dio.
continua…Se il frutto che dobbiamo portare è l'amore , il suo presupposto è proprio questo “rimanere” che profondamente ha a che fare con quella fede che non lascia il Signore.
Nel versetto 7 si parla poi della preghiera come momento essenziale di questo rimanere . All'orante è promesso il sicuro esaudimento. Pregare nel nome di Gesù, però, non significa chiedere una cosa qualsiasi, bensì chiedere il dono essenziale che Gesù, nei discorsi di addio , qualifica “la gioia”, mentre Luca lo chiama Spirito Santo ( Lc11,13), il che , in fondo, è la stessa cosa.
Le parole sul rimanere nell'amore rimandano già all'ultimo versetto della preghiera sacerdotale di Gesù ( Gv 17, 26),legando così il discorso della vite anche al grande tema dell'unità, che lì il Signore presenta come supplica dinanzi al Padre.
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